Extended version dell’intervista ad Ascanio Celestini uscita sul “Metro” del 20 aprile 2016.
Dal 19 aprile all’8 maggio, Ascanio Celestini torna sul palco del Teatro Vittoria con un tris di spettacoli (Laika, Radio Clandestina, Nazione) e tutta la sua irriverenza.
C’è un trait d’union che lega queste tre opere?
No, credo siano molto differenti tra di loro.
Nel suo ultimo lavoro, Laika, ci presenta una contemporaneità annichilita, dove addirittura Gesù sembra essersi arreso. È così?
Non ho pensato a questi personaggi come degli sconfitti assoluti. Mi interessava semplicemente raccontare la loro vita di ogni giorno, una cosa che non viene fatta dai media se non in occasione di qualche brutto fatto di cronaca. Gli uomini e le donne che metto in scena sono degli “invisibili” in questa società ed è per questo che sono contento di farli parlare, di fargli raccontare la propria verità.
C’è un personaggio, il suo particolarissimo (San) Pietro, che sembra essere un po’ il portavoce di questa umanità sommersa ma ancora viva. È così?
Pietro è per me la persona che vede queste persone ma è anche uno che ha paura di entrare in contatto con loro, con la loro realtà. Se dovessi proprio definirlo, direi che è un po’ come quelli che evitano i vu cumprà al semaforo.
Ci sono molte somiglianze tra il suo ultimo lavoro e il suo film Viva la sposa?
Direi che il fatto di averli scritti più o meno contemporaneamente (il film prima) determina una certa consonanza, soprattutto per quanto riguarda i personaggi e il loro punto di vista.
Anche in questo caso l’essenzialità dell’allestimento scenico è stato funzionale alla sua interpretazione e alla sua narrazione?
Certo, perché in scena deve esserci solo lo stretto necessario affinché si crei quella giusta distanza che mi permetta di trasmettere al pubblico quello che voglio dire. Ci devono essere gli oggetti giusti, i colori giusti e soprattutto una luce giusta. Una scenografia superflua sarebbe un ostacolo, mi impedirebbe di creare la giusta atmosfera.
Crede che nei suoi spettacoli la parola abbia un valore particolare rispetto ad altri elementi scenici?
La parola nei miei spettacoli ha lo stesso valore che potrebbe avere in un altro contesto. La parola serve a creare immagini, è uno strumento funzionale che è molto legato al concetto di essenzialità
Lei che svolge sempre una profonda analisi della realtà, crede ci sia una vera possibilità di redenzione per l’uomo, oggi?
Sì, il relazionarsi. Io credo che la relazione vera tra uomini possa dare una risposta anche alle esigenze individuali di ciascuno di noi.